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Carrasegare, la Barbagia in bianco e nero

Viaggio tra i Carnevali Barbaricini di Mamoiada, Orotelli e Ottana

Viaggiando in Barbagia si ha una sensazione di tempi che si allungano e di distanze che si dilatano. Un luogo dove veramente l’Achille di Zenone non riuscirebbe a raggiungere mai la tartaruga.

Qui il Carrasegare è l’antitesi di ogni altro Carnevale. I protagonisti sono le cupe tonalità di campanacci agitati in maniera ritmica o caotica da salti e corse, balli e danze di personaggi fieramente bestiali o rozzamente umani. La maschera, indossata nel legno o tinta di nero sughero, trasforma l’uomo in essere rituale e ancestrale, avvolto in una coltre di mistero.

A Mamoiada il legame è sottomissione. L’essere brutale è schiavo di un essere così umano al suo cospetto da sembrare divino. Nel contrasto tra i grotteschi Mamuthones, le figure nere e mute, simili a quei bovini di cui portano i pesanti campanacci, e gli Issohadores, i padroni inespressivi ma eleganti che tengono il lazzo, sta l’essenza di un carnevale fatto di maschere che si esprimono solo con un unico cupo ritmo, in una danza cadenzata, precisa, imposta.

Barcollando e scalciando nelle strade di Orotelli, i Thurpos riemergono dal tempo passato in cui si erano persi. Uomini ciechi e storpi che diventano animali nell’estremo imbovarsi. Con il viso tinto di sughero bruciato e il corpo avvolto dal nero pastrano, l’uomo e il bue diventano del tutto simili. Così Thurpu è l’animale che sfila legato il coppia ma Thurpu è, anche, l’uomo che lo tiene e lo trattiene.

Nel Carnevale di Ottana c’è, invece, la struttura a chiasmo del si bovare. L’uomo diventa essere rozzo e goffo, rimane antropomorfo ma si fa grottesco, diviene Merdule. L’animale da sottomessa bestia diviene elegante e fiero, ribelle e orgoglioso. Eleva la sua posizione ferina alzandosi in stazione eretta e cercando di divincolarsi dal suo padrone. Ma il legame sarà sempre indissolubile: l’allevato, per quanto provi, non riuscirà mai a liberarsi dall’allevatore e questo stesso rimarrà tanto attaccato da divenire animale a sua volta.

©(immagini e testi) Mario Fracasso


Baccanale delle antitesi: Il Carnevale Osincu di Bosa

Sospesa tra l’acqua e il cielo, il fiume e il mare, morbidamente adagiata in fondo alla valle del Temo, ferma, occhi socchiusi, a scrutare la Spagna: è Bosa, dove il Carnevale, oltre che l’antitesi del mondo quotidiano, è anche antitesi in se stesso.

È antitesi nei colori: i pastelli policromi della valle, dei fiori e delle case opposti al bianco e nero del martedì grasso. Ed è antitesi nella bicromia stessa: il nero del giorno opposto al bianco della notte, il chiaro opposto al buio, la luce opposta allo scuro. Il giorno è dedicato al pianto funebre, s’attittidu, che si riempie di nero, nelle vesti e nei visi. Si lamenta l’abbandono di Gioldzi, personificazione del Carnevale, e la sua imminente e conseguente morte. La nenia diventa un rumore assordante che invade le strade e il cervello. Tutto cambia dopo il tramonto: figure bianche e leggere si aggirano, lumino in mano, per scovare dove si sia nascosto Gioldzi, il carnevale, che finisce per celarsi sempre tra le gambe delle donne. Fino a quando al termine del baccanale non verrà trovato e catturato per essere portato al rogo come capro espiatorio dei peccati della comunità e come segno di buon augurio per la fertilità della nuova primavera.

©(immagini e testi) Mario Fracasso